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I nostri libri
IL PRODIGIO DI BETLEMME

Il libro è il riscontro tangibile di centinaia di memorie e di ricordanze dettate dal mondo contadino a ricercatori avidi di conoscere e di salvare il patrimonio culturale della loro terra. È altresì il frutto di 30 anni di lavoro portato avanti dall’autore scavando avidamente nelle biblioteche statali e nelle raccolte private. Si configura come punto di riferimento per lo studio dei canti popolari mantovani e per la loro comparazione con altri del medesimo ceppo presenti sul territorio italiano.

Ogni popolo, per quanto piccolo esso sia, ha le sue tradizioni, la sua lingua, la sua poesia, i suoi canti. Ha dunque la sua storia e, se sa riconoscervisi, conserva una individualità e una personalità che lo rendono importante non meno di quelli immortalati da splendide gesta.
Lo studio dei Canti Popolari, pregnante ed affascinante sul piano letterario e musicale, permette di tracciare con incisività i lineamenti di questa storia quando essa, esauriti gli interessi verso i fatti eclatanti del mondo colto e borghese, diventa cronaca autentica nella cornice esistenziale dell’uomo al tempo della civiltà contadina.

Le immagini iconografiche di questo volume, compresa quella di copertina, sono di Giancarlo Gozzi.

CANTI POPOLARI MANTOVANI

LA TERRA LA GENTE LE TRADIZIONI

I CANTI DELLA COLLANA

1. NINNE NANNE di casa nostra
2. IL GRILLO
3. CHI BUSSA?
4. COS’ HA MAGNÀ LA SPOSA
5. PINOTA
6. MARCELLINA
7. GH’ HO ‘NA SORELA IN FRANCIA
8. SUL PONT DI LÀ DI MANTOA
9. LA FIGLIA DEL PAISAN
10. CECILIA
11. L’INGLESA
12. DONNA LOMBARDA

Sono legato a padre Terenzio Zardini da decennale amicizia e da profonda stima. Lo conobbi negli anni in cui la Brigata Corale 3 Laghi, stanca di ripetere pedissequamente il repertorio pur credibile e interessante di altri complessi italiani, cercava con determinata ostinazione una propria immagine e una propria identità nel difficile mondo corale che la circondava.
A Zardini piacque soprattutto l’interesse riposto dalla 3 Laghi nel settore etnomusicologico della sua terra, nonché la professionalità con cui il gruppo mantovano procedeva nel recupero di quelle testimonianze antiche che davano lustro alle tradizioni ed ai costumi del nobile e generoso passato padano. E promise alla fine la sua autorevole collaborazione nell’elaborare le varie lezioni popolari riportate alla luce.
Nacquero così le prime preziose pagine di musica che non tardarono a riempire gli animi, avvezzi al quasi secolare dominio delle armonie trentine, di note nuove, emotivamente sentite e godute con entusiasmo palpabile, forse perché arricchite di quella cultura classica e romantica così familiare nel suolo virgiliano. Zardini, lo confermo oggi dopo tanti anni di esperienze vissute in modo stimolante e creativo, ha esaltato il canto popolare mantovano, abbellendolo cromaticamente, conferendogli drammaticità dove il tessuto narrativo era preludio alla tragedia, vivacizzandolo e rendendolo arguto nei passi spinti all’umorismo, facendolo vibrare nelle corde del cuore in quelle situazioni appassionate e romantiche. Ha fatto sua quella magnifica ispirazione di Marcel Proust: «Amate la musica popolare: … a poco a poco essa si è riempita del sogno e delle lacrime degli uomini. Per questo vi sia rispettabile. Il suo posto è immenso nella storia sentimentale della società. Il ritornello ha ricevuto il tesoro di migliaia di anime, conserva il segreto di migliaia di vite di cui fu l’ispirazione, la consolazione sempre pronta, la grazia, l’idea … ».
A Terenzio dico grazie, se non altro per essersi dedicato con gioia quasi fanciullesca a quelle tematiche popolari così spesso disdegnate nelle aule di Conservatorio. La sua scelta gli fa onore, lo eleva spiritualmente, gli conferisce benemerenza. Dott. Giancarlo Gozzi

a bella posta modellato sul ritmo della ninna nanna dalla mamma preoccupata di comunicare al figlioletto ancora in fasce la triste qualità di vita del salariato, oltre che l’irriverenza e la cattiveria dei padroni. Il filò invernale, con più famiglie riunite nella corsia della stalla, favorisce una promiscuità in cui sono inevitabili i corteggiamenti e le rivalità amorose tra i due sessi. I giovani hanno qui l’occasione propizia per trovare l’anima gemella, proprio come dice Teofilo Folengo: “Filozzi vadunt rustici quando reperiunt et alloquuntur suas morosas”. I fiori e i rispetti, esempi freschissimi della lirica popolare, segnano l’amoreggiare e lo scambio dei sentimenti tra i morosi che hanno il cuore in pazza fibrillazione; i canti evidenziano invece il difficile compito della madri volte soprattutto ad indirizzare le figlie verso l’unione più sicura sul piano morale e meno rischiosa dal punto di vista patrimoniale. Su questi concetti si sviluppano narrativamente D’un stùdentìn (La scelta felice) e Am vòi maridàr, due efficaci testimonianze del dialogo, in forma di apparente “contrasto”, che nasce tra l’esperta educatrice e la giovane figliola, troppo innamorata quest’ultima e per niente disponibile ad ascoltare la voce di chi vorrebbe prudentemente guidarla. L’autunno è anche tempo di matrimoni: “Par San Martìn do teste e ‘n cosìn”. Tra le tante canzoni che inneggiano al rituale, a volte inserendovisi in forma drammatica, nelle campagne gira la lezione tragicomica Cos’ ha magnà la spoşa, un componimento che descrive le prime sere di matrimonio di una sposina tracciandone senza riserve di colpi e in modo irriverente (caso rarissimo nella letteratura popolare) gli attributi meno poetici e più materiali. La poveretta è tanto avida di cibo da dimenticare presto le fresche gioie dei doveri coniugali per soddisfare gli stimoli di un appetito insaziabile. Arrivando la sesta sera, mentre un lugubre suono di campane a morto si accompagna al funebre dies ire, l’ingorda dama rende l’anima al cielo: il suo ventre esplode fragorosamente non più reggendo al peso delle pantagrueliche abbuffate.
Con il Natale alle porte, il Prodigio di Betlemme consiglia alle comunità contadine rituali e costumanze di atavica memoria. Si anima il presepio e i canti, distillato semplice e genuino del mistico fervore popolare, confermano i momenti salienti della venuta del Salvatore, indugiando lungamente nella descrizione dell’umile ambiente in cui Gesù ha scelto di nascere. Andem, andem Vergin Maria e L’è şa nat raccontano appunto le fatiche di Maria prossima al parto, la scelta della modestissima grotta che accoglierà il magico evento, la collocazione del Bambino nella mangiatoia dove il freddo è rotto appena dal fiato del bue e dell’ asinello: fatti dichiarati dal Vangelo, esaltati dalla voce della pia tradizione popolare che arriva al tripudio nel giorno dell’Epifania quando i Re d’Oriente si prostrano in preghiera ai piedi del Redentore (La Santa Notte).

In un momento di crescente interesse per la musica antica, più specificatamente medievale e rinascimentale, da parte di un pubblico anche non strettamente specializzato in materia, appare doverosa una sia pur breve precisazione sul ruolo che in determinati ambiti e in precise circostanze temporali la musica, e il canto in primis, hanno svolto in epoche passate nella nostra terra. E, a livello inconscio, ancora svolge in contesti sempre più ristretti e destinati forse all’absolescenza.

Nella storia di Mantova, città fortezza eletta nei secoli a sede diplomatica per l’equilibrio politico italiano ed europeo, la musica, come tutte le arti in genere, ha seguito di pari passo la fortuna della dinastia dei Gonzaga. Ha pertanto conosciuto nel suo cammino momenti di estrema vitalità e di felicissima vena creativa, approdando a risultati ed a livelli artistici che ben in poche altre città si possono riscontrare. Grazie al disinteressato e generosissimo mecenatismo dei Signori di Mantova, cantori, suonatori, ballerini, musicologi trovarono sulle rive del Mincio piena ospitalità e protezione e poterono operare nel pieno rispetto della loro personalità, delle loro capacità e dei loro meriti. Se da un lato la musica profana, con sonetti, odi, frottole, capitoli, strombotti ed altre forme poetico musicali, arricchiva di colore e nobilitava le feste dei ricchi, i ricevimenti a Palazzo, le festose mondanità della Corte gonzaghesca, dall’altro la musica sacra, con l’istituzione di una cappella musicale e cantorum che poteva vantare una produzione liturgica strettamente personalizzata e indipendente da quella romana, sotto l’abile guida di maestri compositori e direttori di primissimo piano, si imponeva per la magnificenza e la copiosità delle creazioni. Seguendo il giudizio di Claudio Gallico, certe forme compositive e modi di canto tipicamente italiani e profani furono innalzati, nel periodo isabelliano, da una posizione depressa e subalterna, portati al più alto livello colto, e quindi proposti esemplari alla cultura musicale nazionale. E non meno artisticamente fortunato fu il periodo di Vincenzo Gonzaga: accanto ad una imponente attività musicale sacra non limitata al Duomo e a S. Barbara ma irradiata a molte altre superbe chiese della città, trovò spazio e favorevolissima accoglienza la musica cameristica e teatrale che si identifica in modo splendido nella figura insuperabile di Claudio Monteverdi.

…fecero inevitabilmente calare il sipario anche sulla cronaca musicale mantovana che, dagli inizi del 1700, cominciò a perdere iniziativa e personalità, acquistando una fisionomia raccomandata, più che da ogni altra parte, dall’egemonia culturale viennese. La musica dotta e scientifica dei Signori e dei Duchi di Mantova, da Francesco a Guglielmo, da Isabella a Vincenzo così ardentemente voluta ed elevata al massimo vertice della bellezza creativa, aveva avuto dunque la primaria funzione di crescere il già grande prestigio della corte gonzaghesca, di onorare in pompa magna i grandi ricevimenti a Palazzo di principi e re, di santificare in misura veramente solenne le ricorrenze religiose. Il popolo contadino non godeva ovviamente del privilegio di partecipare a manifestazioni tanto fastose e quindi di conoscere e di gustare la straordinaria ricchezza di queste forme musicali. E questo, un po’ per atavica ignoranza da cui per volontà politica non poteva essere liberato, ma soprattutto perché distolto da problemi ben più gravi ed impellenti. Per comprendere il concetto è necessario far mente locale sulla realtà di una comunità contadina che vive ai limiti di una mera sussistenza, che ha nella terra l’unica fonte di sopravvivenza, e che, nel caso raro in cui possa disporre di un «di più», lo usa per procurarsi altri generi di primaria importanza. Una comunità contadina che lotta per strappare alle acque, non ancora imbrigliate dalle opere di bonifica, lembi di terra da rendere fertili e fruttiferi. Una comunità che deve periodicamente fare i conti con la malaria, la dissenteria, il tifo, le febbri ricorrenti, il vaiolo, e che vede il bestiame falciato da tristissime forme infettive. Una comunità, ancora, che nelle alluvioni ed in altre infauste calamità naturali, conosce momenti di totale abbandono fisico e morale. Eppure è un popolo generoso, indomito, volitivo e sicuramente orgoglioso di vivere nelle terre dei Gonzaga. Un popolo dunque che non rinuncia ai suoi costumi ed alle sue tradizioni, che conosce e provoca mille occasioni di «festa», e che sa produrre, nella sua meravigliosa genuinità e freschezza, una musica speciale, semplice, romantica, quanto mai ricca di intima poeticità e di fascino. Accanto alla musica dotta di corte, fiorisce quindi una sotto cultura con una fisionomia spiccatamente personalizzata, che nei canti popolari, componimenti drammatici, burleschi, amorosi e narrativi, trova la massima espressione. Nella cornice esistenziale sopra descritta ben si può capire come i grandi appuntamenti stagionali trovassero nell’animo dei contadini una cassa di risonanza particolarmente ricettiva ed amplificante. La semina, il raccolto, la vendemmia, le piogge, la siccità, le gelate tardive, la grandine, erano avvenimenti fra loro strettamente collegati ed interdipendenti: erano il ritmo stesso della vita. Ed ecco il punto: il contadino non sa se l’annata agricola sarà favorevole, non sa se la terra avrà umidità sufficiente per le culture. L’uomo è dunque alla mercé di elementi imponderabili sui quali non ha la minima possibilità di intervento. E di fronte a questa incognita e nella coscienza della propria piena dipendenza nei confronti del fato, egli cerca di propiziarsi la sorte facendo uso del canto come di un elemento esorcizzante nei confronti della realtà in cui opera.

 (canti di augurio, canti della befana, pastorali natalizie, canti di carnevale, canti della questua pasquale, canti del calendimaggio, canti di propiziazione primaverile), è adoperata dal popolo come elemento costitutivo inalienabile dell’avvenimento cui si accompagna. Nella stalla, forse unico luogo caldo della casa per familiari ed amici nelle lunghe serate invernali, sono questi canti narrativi che dominano la scena in un’atmosfera al limite fra leggenda e realtà. Sono storie di principi e cavalieri che insidiano ignare fanciulle innamorate, di inganni che trovano drammatico epilogo, di falsi pellegrini che promettono amori insperati, di suore che «malediscono» le pietre del convento, di donne rapite e portate in terre lontane dove non sorge né sole né luna, di comari ciarliere e impiccione che sentenziano in modo curioso e pittoresco. E, in ogni storia, una morale recondita, un insegnamento più o meno palese su cui riflettere, una nota su cui meditare, perché si impari a distinguere il bene dal male, perché il matrimonio risulti conveniente e sicuro, perché l’inganno trovi valida difesa nella mente ingenua del contadino. Il tutto espresso in termini convenienti e puliti: la volgarità, nel canto popolare, è fuori luogo.
E, sempre nella stalla, elemento scenico ricorrente è la ninna nanna: il bimbo deve dormire presto, non può essere presente, così candido e ingenuo, al racconto, spesso non buono e drammatico, dei vecchi. Il sonno arriva dolcemente al ritmo scandito delle madri stanche: le parole sono strane e illogiche, ma la melodia è ricca di sconvolgente passionalità e di grande calore umano.
Cosa ci è rimasto di questo immenso patrimonio popolare nato all’ombra della musica addottrinata dei principi? Poco o nulla. Il tempo ha giocato un ruolo negativo sotterrando gran parte di questi autentici documenti di vita e di costume.

Ma, soprattutto, l’avvento della civiltà delle macchine e dei mass-media ha provocato nel mondo popolare danni irreversibili. Come osserva Roberto Leydi, nel giro di pochi decenni il tessuto sociale ed economico della regione si è disintegrato come avviene di certi reperti archeologici portati all’improvviso alla luce. A ciò ha fatto seguito il declino civile della comunità e, quindi, la dispersione dei valori culturali. Dalle campagne sono affluiti alla città cervelli ansiosi di una elevazione sociale e di una forma di vita più privilegiata; dalla città è ritornato ben poco o, peggio ancora, sono arrivate le canzonette e i modelli piccolo-borghesi dei messaggi consumistici. Cioè cocci di vetro colorati al posto di autentiche pepite d’oro.
A questo punto, perché non tutto vada perduto (è un modo di dire tanto caro all’amico Angelo Agazzani), l’attività di ricerca e di recupero promossa in questo ultimo decennio dalla Brigata Corale 3 Laghi, appare importante sul piano umano e sociale, e quindi altamente meritoria. Molti canti sono stati riportati alla luce, convenientemente catalogati, arricchiti di documentazione, e, infine, valorizzati mediante un processo di divulgazione sapiente e capillare. Il presente volume, che reca note illustrative e critiche dell’allegato LP, è un chiaro esempio della volontà con cui il complesso mantovano ha affrontato il problema.

RICORDANZE MANTOVANE

10 Canti Popolari raccolti in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi Introduzione e analisi critiche a cura di Giancarlo Gozzi
Filòs nella stalla – Tecnica mista del pittore Sandro Negri
…l’inverno è sfaccendato per il contadino. Durante i freddi, per lo più, gli agricoltori si godono ciò che hanno guadagnato e con gioia si dedicano ai banchetti, con reciproche offerte.
Virgilio-Georgiche/Libro I
BRIGATA CORALE 3 LAGHI AMMINISTRAZIONE DELLA PROVINCIA DI MANTOVA
Assessorato Sport e Spettacolo
MANTOVA 1985

GH’HO ‘NA SORELA IN FRANCIA
Il canto è stato raccolto in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi nel 1979. La narratrice è Zoraide Bernardelli di Virgilio (Mantova).
MALEDISCO LA PRIMA PIETRA
Il canto è stato raccolto in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi nel 1979. La narratrice è Zoraide Bernardelli di Virgilio (Mantova).
ROSETA AT SE’ PRAN BELA
Il canto è stato raccolto dalla Brigata Corale 3 Laghi in territorio mantovano dalla viva voce di Giuseppe Bassi nel 1976.
LA BARBIERA
Il canto è stato raccolto dalla Brigata Corale 3 Laghi a Cerese di Virgilio (Mantova) nel 1979. La narratrice è Zoraide Bernardelli.
AL MAGNANO
Il canto è stato raccolto in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi il 18-2-1977. L’informatore è Giordano Moretti di Mantova.
SUL PONT DI LA’ DI MANTOA
Il canto è stato raccolto dalla Brigata Corale 3 Laghi in territorio mantovano nel 1979. La narratrice è Zoraide Bernardelli di Virgilio (Mantova).
FÈ LE NANE
Il canto è stato raccolto in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi nel 1982. L’informatore è Stefano Pasqualini di Villanova De Bellis (MN).
LA FIGLIA DEL PAISAN
Il canto è stato raccolto in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi nel 1979 dalla voce di Zoraide Bernardelli di Virgilio (Mantova).
MAMA MIA MINEM IN CESA
Il canto è stato raccolto in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi nel 1979. La narratrice è Zoraide Bernardelli di Virgilio (Mantova).
LA PIÙ BELA L’È LA LOMBARDIA
Il canto è stato raccolto in territorio mantovano dalla Brigata Corale 3 Laghi nel 1979. L’informatrice è Zoraide Bernardelli di Virgilio (Mantova)

Particolari ringraziamenti all’ amico Angelo Agazzani per la valida collaborazione prestata. Giancarlo Gozzi -1985

DAL MINCIO AL PO

CANTARE INSIEME

La costituzione volontaria di un “gruppo” corale è, innanzitutto, una conquista umana. Che in seguito arrivi anche la conquista artistica è possibile, ma difficile. Difficilissimo poi se il repertorio si confina entro i limiti d’un linguaggio popolare.
Per questo, presentando la Brigata Corale 3 Laghi, sarei tentato di usare la parola miracolo, visto che il traguardo della fraternità collettiva, delle scelte musicali accortissime, dello studio approfondito, dell’eccellente risultato esecutivo é unico, ben definito e ormai prossimo a configurare l’opera di questa fresca forza acquisita da non molto alla rinascita della musica a Mantova.
La formano una quarantina di giovani, dal torace gagliardo e dalle facce ridenti, con la poetica aggiunta di qualche chioma qua e là innevata quasi a ricordare che anche la saggezza può dire la sua e in ogni campo. Sul podio un altro giovane la cui paciosa cordialità virgiliana a contatto con la musica si trasforma in vigilanza spietata, in frustanti rimbrotti, in focosissimi slanci, in atteggiamenti languorosi o ammiccanti. E fra la massa dei cantori e il capo, un rapporto di passione sonora, di mirabile estro direttoriale, di esaltazione casalinga, che è il supporto insostituibile che regge il sodalizio e il suo desiderio di dare fiato ai canti vecchi e nuovi di questa terra benedetta.
E non è tutto. Perché dietro le quinte autentici musicisti (Giordano Fermi, Lino Leali, Rinaldo Rossi, Terenzio Zardini), poeti arguti (Bruno Bonora, Alfredo Facchini detto «Fredon»), studiosi di storia cittadina (Sante Bardini, Rodolfo Signorini) ripescano e aggiornano testi e cantilene poco meno che secolari e ne forgiano di nuove, alimentando continuamente di idee attuali e di attuali pentagrammi il panorama musicale al quale attinge Luigi Guernelli, troppo bravo per non meritare una citazione nominale e troppo intransigente nel rifiutare l’appellativo di Maestro.
Questo è il profilo rigorosamente obiettivo di un gruppo che, ignorando il vezzo corrente di sbracarsi in parolacce e versacci dietro l’usbergo del costume popolare, accoglie, interpreta, diffonde quanto di meglio esprime la salute spirituale della nostra gente.
E tutto sul filo d’un discorso che sfiora le varie sfumature cromatiche dei sentimenti: dai ricordi ingialliti del tempo allo stornello che fa maramèo al pessimismo generale.
Mantova – spiegano i cantori della 3 Laghi – va “cantata” così. Sospirando e ridendo. Che è come dire: guardatela bene la nostra Mantova; e sullo sfondo nebbioso del panorama lacustre vedrete sempre spuntare, ad un tratto, l’ombra gioconda di Merlin Cocai. Ettore Campogalliani 31 dicembre 1974

PRESIDENTE DELLA BRIGATA

Stefano Guernelli nasce a Mantova nel 1959.
Dal 1978 svolge l’attività, tramandata dal nonno paterno, di accordatore di pianoforti…

DIRETTORE ARTISTICO

Maurizio Giovanelli, nato a Mantova nel 1962, fa parte stabilmente della Brigata Corale 3 Laghi dal 1981, cantando nella Sezione dei Tenori Secondi.

CONSIGLIO DIRETTIVO

Guernelli Stefano (Presidente)
Bruschi Paola (Vicepresidente)      Bringhenti Vanni (Segretario Tesoriere)
Sacchi Gianni (manutenzione sede)
Papa Maria Rosa (servizio informatico)
Furgeri Vasco (archivio spartiti)
Saccani Massimo (relazioni stampa)